Bologna – Considerazioni in seguito al presidio sotto il carcere della Dozza

26 giugno sotto il carcere della Dozza – considerazioni

Tornare sotto il carcere della Dozza e riuscire a comunicare a lungo con i prigionieri è stato emozionante e ci ha provocato ancor più rabbia. Qualcuno/a di noi è finito/a dall’altra parte del muro il mese scorso, anche se non alla Dozza; è stata una permanenza – seppur breve – che ci ha convinte e convinti ancora di più di quanto delle galere non debbano restare che macerie.

Venerdì 26 giugno eravamo tante/i là sotto; siamo arrivati sotto le sezioni dei comuni e dell’AS3 e finalmente, dopo mesi, siamo riusciti a comunicare bene con chi è rinchiuso. Sin dal nostro arrivo si sono alzati dalle celle cori per la libertà e contro le galere.

Tutta la nostra vicinanza e complicità è stata portata alle compagne e ai compagni arrestati con l’Op. Bialystok, dove ancora una volta la solidarietà è stata attaccata, la solidarietà espressa in più modi e forme verso i/le compagni/e arrestate per l’Op. Panico e a fianco di Paska che aveva alzato la testa contro il pestaggio riservatogli dalle guardie durante il trasferimento per un’udienza a Firenze e contro la sua permanenza nel carcere di La Spezia.

Abbiamo riportato ai prigionieri quello che sta succedendo anche in altre carceri, un quadro che fa emergere senza mezzi termini che le strette imposte nel periodo dell’emergenza coronavirus hanno tutta l’aria di voler essere prolungate il più possibile da parte del DAP e delle direzioni dei penitenziari: dalle limitazioni ai colloqui, 1 o 2 al mese col plexiglass, alla stretta sui regimi a celle aperte, sino alle ripetute intimidazioni verso chi alza la testa.

Si è ribadita la responsabilità di Bonafede e dei suoi leccapiedi del DAP per le morti avvenute durante le rivolte di marzo, l’uso strumentale di quegli episodi su cui ora si fa leva per imporre ulteriori restrizioni. Lo Stato, come si è visto in questi mesi, cerca di volta in volta di attribuire la responsabilità delle stesse alla regia mafiosa o anarchica, per lavarsi la coscienza di ciò che è solo il frutto dell’orrore quotidiano del sistema carcerario. In questo senso le limitazioni estreme che regolano il regime del 41bis riflettono proprio il modello carcerario punitivo e di annullamento dell’individuo a cui, con crescente evidenza, si richiamano i vertici del DAP e il ministro Bonafede per l’intero panorama carcerario.

Dalle celle sono partiti ripetutamente cori e urla, fino ad arrivare a un fitto scambio di informazioni sulla situazione interna alla Dozza: dalle sezioni dei comuni più voci hanno raccontato che perdurano le limitazioni sui colloqui (uno al mese col plexiglass) e sulle ore d’aria (solo due al giorno) in tutto il carcere; diversi sono ancora i casi di prigionieri ammalati di COVID, o quantomeno di sospetti tali, tenuti nelle sezioni con gli altri e si parla di persone a cui le “cure” sono “garantite” con la sola somministrazione della solita tachipirina; per quanto riguarda il cibo, con il carrello del vitto è un susseguirsi di pasta, pane e riso, confermando la scarsa attenzione dell’amministrazione per una dieta minimamente salubre mentre l’uso delle docce è limitato a 5 minuti, altrimenti si riceve rapporto da parte delle guardie; regolari sono le perquisizioni delle celle intorno alle 4 di notte; i prigionieri hanno lamentato l’assenza di educatori (alcuni invece li hanno insultati senza mezze misure) e di qualsiasi tipo di attività lavorativa o meno; molti di loro hanno residui di pena bassi e magari anche un domicilio, ma non vengono fatti uscire; il detenuto che a fine maggio aveva dato fuoco all’infermeria (ad oggi ancora fuori uso) è stato picchiato e sbattuto in isolamento.

Più volte le guardie in borghese presenti sulle mura di cinta, con chiaro intento intimidatorio, hanno rivolto le loro telecamere verso i detenuti che comunicavano con i solidali.

Raccogliere notizie su quanto avviene dentro e renderle pubbliche ci sembra il minimo, tanto più in un periodo come questo, in cui nelle galere il lockdown sembra tutt’altro che superato e che la tendenza sia quella di normalizzare questa situazione.

Non si stupiscano lorsignori se fra un po’ di tempo, magari molto poco, la misura sarà nuovamente colma.

Bologna – Testo distribuito in occasione del Presidio solidale agli arrestat* Op. Bialystok

Venerdì 19 giugno si è svolto in piazza dell’Unità a Bologna un presidio in solidarietà alle anarchiche e agli anarchici arrestati nell’Operazione Bialystok. In piazza diversi sono stati gli interventi in solidarietà anche alle compagne e ai compagni prigionieri per le operazioni Prometeo (che avranno udienza preliminare il 22 giugno) e Scripta Manent (il cui processo d’appello inizierà il 1°luglio).
Di seguito il testo distribuito.

Venerdì scorso, a un mese dall’operazione Ritrovo, la mano dello Stato attraverso i suoi carabinieri del Ros e il procuratore Dall’Olio ha portato via altri sette tra compagni e compagne, di cui due sono agli arresti domiciliari e cinque in carcere tra Italia, Francia e Spagna. Viene contestata la solita associazione sovversiva con finalità di terrorismo oltre ad alcuni reati specifici tra cui l’incendio di qualche auto del car sharing dell’Eni (le auto Enjoy) e l’attacco esplosivo alla caserma dei Carabinieri di Roma San Giovanni del dicembre 2017. Per Paska, di nuovo ai domiciliari, viene contestato anche il 270sexies per la solidarietà che avrebbe portato pressione al carcere di LaSpezia e avrebbe determinato il suo trasferimento.

Come un mese fa dopo gli arresti qui a Bologna non grideremo a nessuna ingiustizia riguardo quest’inchiesta. Non ci sono vittime della repressione tra chi decide di opporsi a questo mondo osceno. Lo Stato, attraverso coscenziosi magistrati e solerti forze dell’ordine, fa di tutto per sopravvivere e fermare chi minaccia la sua esistenza. Partorisce leggi e mette alla pubblica gogna compagni e compagne dipingendoli con epiteti che riflettono sempre e solo la sua stessa natura. Ci chiamano terroristi e istigatori. Che facciano pure. Noi e chi ci sta intorno sappiamo chi siamo, così come sappiamo che dietro questi appellativi si nasconde la preoccupazione delirante di chi vuole regolare le nostre vite.

Alcuni dei compagni e delle compagne arrestate li conosciamo bene e con alcuni abbiamo condiviso per anni le strade di questa città. Non ci interessa sapere se sono innocenti o colpevoli dei reati di cui sono accusati per decidere di portare la nostra solidarietà. Ci interessa invece sapere che qualcuno continua a non darsi per vinto nonostante questa società suggerisca continuamente di deporre l’ostilità e di farsi i cazzi propri. Sappiamo bene chi è il colosso chiamato Eni, che sparge morte e nocività nel sud del mondo come nel sud Italia, e non stupisce anzi rallegra che qualcuno abbia deciso di illuminare la notte romana con alcune di quelle auto rosse. Così come sappiamo, e in questi giorni anche un po’ di più, che i carabinieri sono tra le forze dell’ordine che difendono il prosieguo di questo mondo infame, quindi non stupisce anzi rallegra che qualcuno decida ogni tanto di bussare alle loro porte coi mezzi che la fantasia gli suggerisce. E non ci sarà accusa di istigazione a delinquere che potrà mettere a tacere il dire che l’azione diretta è giusta ed appropriata. Così come è stata giusta e necessaria la solidarietà verso un compagno combattivo sottoposto a soprusi nel carcere di LaSpezia.

Anche stavolta infatti la solidarietà è sul banco degli imputati, in particolare quella espressa verso i compagni e le compagne coinvolti nell’ ”operazione Panico”. E’ evidente che la solidarietà rivoluzionaria e quella tra gli oppressi li spaventa, forse perché i servi dello Stato non sanno cosa voglia dire, così come non sanno cosa sia quella vita degna che noi da compagni e compagne abbiamo scelto di sperimentare.

Se la solidarietà è il loro cruccio continuerà ad essere la nostra arma.

A fianco degli anarchici e delle anarchiche arrestati nell’ ”operazione Bialystok”.

Complici e solidali a Bologna